
Il Carro mi è molto caro – di Paul Gilbert
Il Carro mi è molto caro. Quando sono arrivato a Roma per studiare, dal 1977 al 1979, un amico gesuita al quale avevo chiesto cosa potessi fare come sacerdote mi segnalò che Fede e Luce stava per essere creata e che potevo mettermi in contatto con le autorità dell’epoca che mi mandarono all’oratorio dei Giuseppini di Murialdo che si trova proprio davanti alla porta d’ingresso principale della basilica di San Paolo fuori le mura. È lì, all’oratorio dei Giuseppini, che ho già conosciuto il papà e la mamma di Rita, che vive al Carro ormai da alcuni anni. Furono due begli anni. Ricordo le opere teatrali (per esempio “Forza, venite gente”) realizzate all’oratorio dei Giuseppini, con un certo numero di ragazzi e ragazze, e di amici incontrati lì. Fede e Luce aveva una segreteria nella scuola delle suore di Nazareth, in via Cola di Rienzo. Fu allora che conobbi anche la famiglia Mazzarotto, soprattutto Matteo e Antonio, così come Paolo e Mariangela Bertolini, e Olga Gammarelli, la mamma di Sabina.
Sono tornato a Roma nel 1986, come insegnante di filosofia alla Gregoriana. Non vi confesserò nulla delle mie avventure accademiche, se non per dirvi che tutto il tempo era dedicato alla preparazione dei miei corsi e all’accompagnamento degli studenti. Ma appena tornato a Roma, ho voluto rivedere il gruppo Fede e Luce dell’oratorio dei Giuseppini. Fu per me un momento memorabile perché molte persone mi riconobbero subito, dopo 7 anni di assenza, il che non è poco per persone fragili. Fede e Luce aveva allora una segreteria ben organizzata (Matteo era il segretario), sempre in via Cola di Rienzo, ma potevamo usufruire anche di una sala molto più grande e accessibile. E ne abbiamo approfittato per fare degli incontri molto belli tra amici di Fede e Luce; ricordo tra l’altro momenti profondi di preghiera e di meditazione della Parola di Dio.
Non so in quale data abbia preso forma il desiderio di Matteo di iniziare una casa di accoglienza per i amici diversamente abili. Quando sono tornato a Roma, nel 1986, ho avuto alcuni contatti con il Chicco, che all’epoca era molto piccolo, un solo focolare. Ricordo una visita trionfale che vi fece Giulio Andreotti, primo ministro. Durante gli anni tra i miei due soggiorni a Roma, dal 1979 al 1986, ho avuto contatti con case dell’Arca, in Francia e nella regione di Namur dove abitavo in Belgio. Tornato a Roma, non ero quindi del tutto ignaro di ciò che significava quello che Matteo stava meditando: iniziare una casa del genere dell’Arca, ma su altre basi, basi più familiari. Sapete che le case dell’Arca vivono essenzialmente con volontari; sono poche che sono state create e che continuino ad essere animate dalla stessa famiglia. Ancora meno una famiglia che si è formata nello stesso tempo in cui il progetto di Matteo maturava progressivamente fino alla decisione di buttarsi in acqua e di iniziare la realizzazione del progetto. L’arrivo di Ivana, poi delle loro tre figlie, Maria, Francesca e Anna, ecco una grazia assolutamente originale!
Gli inizi del Carro sono stati prudenti. In quale anno? Nel 1990, Matteo mi ha invitato a salire al 4° piano di una bella casa vicino a Villa Ada, all’angolo di Via Panama. I primi anni erano come all’Arca, imparare a vivere insieme. Poi è arrivata abbastanza rapidamente, verso il 1991, la possibilità di trasferirsi in Via Portuense, in un bellissimo “casale” in campagna. Quando si arrivava a Fiumicino venendo dal sud, nei giorni di tramontana quindi, e si era seduti a sinistra nell’aereo, si poteva sorvolare la casa a poche decine di metri, e sognare che si sarebbe visto qualcuno degli abitanti nel giardino, e li si lasciava venire nella memoria e salire nel cuore. La comunità ha cominciato a crescere. Amici di Fede e Luce sono diventati collaboratori, poi sono partiti per fondare anche loro altre case di accoglienza di tipi diversi come Filippo e Costanza a Viterbo, o per condurre un’altra vita ma sempre attenta al progetto del Carro, come Alessandra che partecipa adesso alle attività della mia comunità Fede e Luce di sant’Anna.
Matteo aveva pensato, e pensa ancora, che la sua impresa dovesse avere alleati divini, santi protettori. Si pregava molto nelle prime dimore del Carro, ancora prima che questo nome diventasse ufficiale. Si celebrava a volte l’eucaristia del Signore Gesù in Via Panama, tutti seduti attorno a un tavolo. In Via Portuense, gli appuntamenti spirituali si tenevano il lunedì sera, più volte al mese. Non si era più pii del Papa, ma più pii di me… Siccome in realtà non potevo spesso essere presente a questo appuntamento, e siccome la vita accademica che conducevo era appassionante ma non tutti i giorni, ho pensato di chiedere ai miei superiori di trasferirmi al Carro, per fare il prete della casa, poi mi sono detto che un filosofo, anche prete, sarebbe stato più un peso che un aiuto in quell’ambiente. Ne ho fatto l’esperienza per tre giorni al massimo se non mi sbaglio, e mi sono arreso all’evidenza, cosa che non piace mai a un filosofo, vi prego di credermi.
Il Carro, un’esperienza unica. Ma non isolata. Ci sono stati al Carro momenti molto belli di amicizia ampiamente condivisa, quando vi venivano intere comunità di Fede e Luce, per esempio una delle ultime volte che abbiamo visto il Capitano, il nostro grandissimo Stefano di Franco, una festa di fine anno sociale, a giugno del 2015, o ancora, lo stesso anno quando Matteo ha organizzato per un’intera giornata un incontro di un certo numero di case e di società vicine al progetto del Carro. Ancora adesso, ogni mese, una domenica, il Carro ci invita a venire per una serata, per vivere qualche ora insieme; si celebra l’eucaristia, poi si condivide “il pane e il vino” con i membri della comunità, i nostri amici di lunga data, le persone, i collaboratori e le collaboratrici, che li accompagnano giorno e notte.
Il Carro, una piccola società insostituibile e ben fondata. Non fondata solo per mezzo di una “fondazione” in euro, come si sa, ma fondata come una società di persone che hanno molta amicizia e rispetto le une per le altre. Penso alle persone che hanno vissuto qui, e che non ci sono più perché hanno dato qui il loro ultimo respiro, spesso in modo inaspettato, a volte dopo un soggiorno in ospedale, Massimo, Silvia, Alberto, Carla, Stefano, Antonio.